Arisa è una Nilla Pizzi 2.0. Un pokemon ibridato da echi di Walter Chiari – quando balbuziente e naso finto era uno dei fratelli De Rege – e dai pixel del pulcino ballerino della Walt Disney. Un cartoon in carne e ossa, un capolavoro di immagine tanto cinicamente sofisticata da sembrare goffamente "naturale". È la vittoria su misura di un'Italia disperatamente in cerca di nuovi papaveri e papere, degli anni 50, quelli del sospiro di sollievo post-bellico. È lo stesso che vorremmo adesso, noi, che siamo impegnati in questa guerra economica non guerreggiata ma comunque angosciante e tragica. Parti da Arisa e torni al piano casa di Fanfani, alle Lambrette e magari anche a qualche anno prima, alla nostalgia per un De Gasperi che a Parigi difende la dignità nazionale quando sente che tutto è contro di lui «tranne la personale cortesia» di chi partecipa alla Conferenza di pace.
La canzone «Sincerità» non è – come detto da qualcuno – un motivetto da Zecchino d'Oro, ma una canzone per adulti in cerca di spensieratezza. Del resto, il Festival di Sanremo non è forse, da sempre, il precipitato di un'idea di Paese? Dell'«italian contest», come direbbero quelli che indovinano le tendenze?
Spensieratezza è una parola tabù per 60 milioni di italiani (vecchi e nuovi): c'è tempo e voce solo per piccole e grandi ansie, per piccoli e grandi drammi, per la spossante fatica del quotidiano intossicato dallo stress che è diventato, via via, molto di più del ben noto "logorio della vita moderna". Abbiamo scoperto che il "sorriso per il sorriso" è la più rara commodity di questo terzo millennio appena cominciato (male). Bene, dunque, l'impacciato incedere della vincitrice dei giovani cantanti, la timidezza che fa scudo a un carattere che – si vede – non manca. Ma vuoi mettere rispetto al nude look anni 60 (nel senso dell'età non dell'epopea) di Patty Pravo. Era – forse è – un mito, ma oggi sembra un mutuo subprime: la rata è sexy, ma se sottoscrivi finisci per perdere la casa.